Da ragazzo nemmeno sapevo chi fosse Mario Monicelli. Poi un amico mi ha fatto vedere Amici Miei e da lì capii di essermi perso parecchio. Amici Miei Atto II e III, I soliti Ignoti, Il marchese del Grillo, L’armata Brancaleone e tanti altri sono diventati in poco tempo i miei riferimenti culturali.
L’opera del regista romano è vasta e copre quasi tutto il Novecento. Nato il 16 maggio 1915 a Roma -anche se per molto tempo ha fatto credere di essere di Viareggio, dove si è trasferito nel periodo delle scuole medie- Mario Monicelli si avvicina al cinema a Milano, dove si trasferisce per iniziare gli studi universitari. Qui, insieme a Riccardo Freda, Remo Cantoni, Alberto Lattuada, Alberto Mondadori e Vittorio Sereni, fonda una rivista di critica cinematografica, Camminare. Le celebrazioni dei film americani e francesi, al posto di quelli italiani, non piacquero al Minculpop che per questo motivo fece chiudere il giornale.
La chiusura del giornale non è stata l’unico bastone tra le ruote che il regime fascista mise al giovane Monicelli. Sempre insieme a Lattuada e Mondadori, nel 1934 gira il cortometraggio Cuore Rivelatore, ispirato all’omonimo racconto del maestro del brivido americano Edgar Allan Poe. Cassato perché esempio di “cinema paranoico”. L’esordio arriva l’anno dopo con il lungometraggio I ragazzi della via Paal, proiettato anche alla Mostra di Venezia.
È l’inizio di una carriera che attraverserà quasi ottant’anni di storia italiana, dal pieno dell’epoca fascista, passando per gli anni di piombo, fino al terzo millennio. In fondo, Mario Monicelli è un grande ritrattista della nostra Italia: con le sue sceneggiature, sempre in bilico tra la tragedia e la farsa, ha raccontato in maniera quasi enciclopedica i vari volti e tempi della penisola.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Monicelli inizia a collaborare con registi e attori di rilievo sulla scena italiana. Da Pietro Germi a Federico Fellini, da Totò ad Alberto Sordi, Monicelli diventa uno dei punti di riferimento della commedia all’italiana.
Sarebbe inutile citare i suoi più grandi successi, che gli amanti del cinema italiano conoscono sicuramente. Vale la pena però ricordarli per coloro che, ancora oggi, sono all’oscuro di quello che si sono perduti. Alcuni, già citati all’inizio di questo breve e fugace ritratto, rappresentano una guida sacra per conoscere e comprendere il cinema italiano di ieri e di oggi. Tanto di quello che è stato fatto da Monicelli si ritrova ancora oggi, riveduto, aggiornato e a volte, irrispettosamente, banalizzato.
Se in film come Amici Miei (1975), Monicelli affronta il tema universale dell’amicizia, in film come I Soliti Ignoti (1958) e Vogliamo i Colonnelli (1973), racconta l’Italia dal punto di vista sociale e politico, con il suo solito tocco d’ironia tragicomica. Questa continua e imperterrita opera di denuncia ironica sfocia poi nel dramma. È Un borghese piccolo piccolo (1977) il film che segna la fine di un’epoca. Non solo per Monicelli, ma per tutto il cinema italiano. Il film, che vede come attore protagonista un Alberto Sordi in un ruolo completamente drammatico, è infatti universalmente riconosciuto come quello che ha definitivamente chiuso il capitolo dell’epoca d’oro della commedia all’italiana.
Mario Monicelli, comunque, si è sempre accompagnato bene. Nei suoi film hanno recitato i migliori attori sulla scena, sia italiana che internazionale. Totò, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Philippe Noiret, Ugo Tognazzi e anche Paolo Villaggio fanno parte di quel nugolo di attori che a fasi alterne gravitava per anni nelle produzioni del regista romano.
Di questi sodalizi, oggi voglio ricordare quello con Totò, non solo per la quantità e la qualità delle loro produzioni, ma soprattutto per la loro battaglia contro la censura. Nel 1953 iniziano infatti le riprese di Addio a Carolina, film che arriverà nelle sale due anni dopo, con un altro titolo e profondamente censurato. Nei panni di un poliziotto Totò, secondo i censori dell’epoca, portava disonore sui membri delle forze dell’ordine. Il film fu bocciato dalla commissione per la censura più e più volte. Poté uscire in sala solamente in una versione ridotta, con alcune modifiche nei dialoghi e nelle musiche, con un annuncio nei titoli di testa che relega Totò nel ruolo di macchietta. La delusione dello stesso Principe della risata fu tale che disse laconicamente: “Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta?”
Lo spirito battagliero di Monicelli è perdurato fino alla fine. Nel 2010 presta il suo nome per la realizzazione di un cortometraggio, insieme agli studenti della scuola di cinema Roberto Rossellini, contro i tagli alla cultura. La nuova armata Brancaleone è l’ultimo grido di lotta politica del nostro Monicelli.
Il 29 novembre 2010, Mario Monicelli, si getta dalla sua stanza d’ospedale, dove era ricoverato. Ma il suo cinema resta sempre con noi!!